Perché si sente il bisogno di fotografare in chiaroscuro? E soprattutto, perché farlo in bianco e nero? Se ci pensiamo bene, solo dei fotografi pazzi o fuori rotta vorrebbero farlo, per molte (buone) ragioni:
- La vita intorno a noi non è in chiaroscuro ma presenta scarti di luminosità reali e non estremizzati.
- Il chiaroscuro drammatizza le immagini, mentre la maggior parte della gente non vuole il dramma, ma la spensieratezza.
- Nel chiaroscuro i colori della natura, dei voti delle persone o degli ambienti sono reali, mentre nel chiaroscuro vengono spesso e/o in buona parte annullati.
- Presentare buone immagini in chiaroscuro richiede esperienza e tempo, che il fotografo potrebbe dedicare ad altro.
- La maggior parte delle persone non esperte di fotografia non percepisce la “grandiosità” che il fotografo si aspetta nelle proprie foto in chiaroscuro.
Con particolare riferimento al punto 5), ho abbastanza anni di fotografia alle spalle per poter dire con una certa sicurezza che la “gente normale” vuole vedere i dettagli, i colori, il soggetto nella sua completezza, magari col suo sfondo o ambiente naturale ben identificabile e soprattutto riconoscibile.
Fin qui sto considerando le cose viste da una prospettiva “normale”. Ma i fotografi non sono “persone normali” sotto tutti i punti di vista.
Il fotografo di chiaroscuro vede la fotografia da tutt’altra prospettiva, e ne fa un mezzo di trasporto verso un’altra dimensione della fotografia.
OK, partiamo da lontano
Vogliamo parlare di chiaroscuro fatto da negativo o da digitale?
E vogliamo definire chiaroscuro anche le foto che presentano lo “scuro” completamente nero, oppure solo quelle dove nel nero più nero c’è sempre del dettaglio, o con zone di nero totale molto limitate?
Il chiaroscuro fatto da negativo non era cosa da poco.
La pellicola per negativi aveva per convenzione una latitudine di posa di 7 diaframmi (o “stop“, o “zone” come direbbe Ansel Adams). Per chi non mastica questo gergo, ciò significa che rispetto al punto di illuminazione medio, le zone con le alte luci potevano avere un’illuminazione di 3 diaframmi sopra, e le ombre di 3 diaframmi sotto. In pratica, scattando a 1/125 e diaframma 8, puntando l’esposimetro in misurazione spot sulle alte luci l’ago dei tempi poteva salire al massimo a 1/1000, e sulle ombre scendere al massimo a 1/15. Questo permetteva di rendere il dettaglio sia nelle alte luci che nelle ombre. Se lo scarto fosse stato superiore a 3 stop avremmo avuto neri pieni e bianchi totali, entrambi senza dettaglio.
Scattando in bianconero si potevano fare alchimie per oltrepassare tali limiti, ma servivano esperienza e tecnica.
Con la pellicola per diapositive, specie sotto 100 ASA (64 ASA, 50 ASA e 25 ASA) la latitudine di posa si riduceva a 5 diaframmi: un gradino meno per le ombre e uno meno per le luci, rendendo il chiaroscuro ancora più complicato. Se poi si stampavano in Cibachrome, laddove nella diapositiva si vedevano ancora leggeri dettagli nelle zone estreme, probabilmente andavano perdute.
Il chiaroscuro da negativo bianconero era molto comune nella fotografia architettonica. Ho visto moltissime stampe eccellenti fatte dall’amico Claudio Gori di Pistoia, appassionato fotografo di architettura Romanica, soprattutto interni di chiese, cripte ed edifici. Però per fare quelle foto si doveva partire da casa con l’idea di fare quel tipo di riprese, per ottenere un determinato risultato in stampa, che non permetteva bianchi bruciati e zone in nero totale troppo vaste.
Spesso il fotografo aveva già in testa non soltanto che tipo di pellicola usare, ma anche in che bagno sviluppo trattare il negativo, e successivamente, dopo aver sviluppato il negativo, su quale carta fotografica stampare le foto e in quale rivelatore svilupparle.
Poi nella realtà poteva cambiare tutto, perché una volta arrivati sul posto ci si accorgeva che i contrasti tra le zone della composizione erano troppo alti o – al contrario – troppo bassi. Se lo scarto non era eccessivo si recuperava il contrasto basso stampando su una carta di gradazione più alta, o al contrario più bassa se il contrasto era minore. Se lo scarto era molto alto si potevano fare due cose: rinunciare del tutto o provare a sottosviluppare il negativo e sovrasviluppare la stampa.
I miracoli del digitale
Da quando il sensore fotografico CCD o CMOS ha sostituito la pellicola le mogli o le compagne dei “fotografi casalinghi notturni” sono molto più tranquille: i bagni, le soffitte e gli scantinati non sono piu oscurati con metodi posticci, e le precarie impalcature ingombre di bacinelle, ingranditore e mercanzia varia non rischiano più di collassare.
I fotografi invece non sono più tranquilli, perché avendogli dato nuove opportunità di alzare l’asticella della qualità fotografica, hanno continuato ad arrovellarsi il cervello coi nuovi elementi. Non più pellicole, sviluppi, rivelatori, bacinelle, tempi e temperature di sviluppo, tipi e gradazioni di carta fotografica, ma file JPG, TIFF e più specificamente RAW e DNG, e una serie di controlli nei più quotati software per elaborazioni di foto digitali che qualche anno prima sarebbero stati inconcepibili: esposizione, bianchi, neri, contrasto, luci, mezzeluci, ombre, mezzeombre, mezzitoni, chiarezza, curve, livelli, oltre a tutta una serie di impostazioni dedicate alla fotografia a colori.
Inutile dire che il fotografo di chiaroscuri si è tuffato in questo mare di nuove opportunità, e non ne è ancora riemerso.
Continua…
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