Non facciamo sentimentalismi: l’epoca della pellicola è finita da un bel pezzo, e non ritornerà. Se prima la luce carica di forme e di colori attraversava le lenti dell’obiettivo per impressionare l’emulsione finemente spalmata sulla celluloide, oggi fa la stessa cosa, ma va a impressionare un sensore, concentrato di pura e fredda tecnologia. Il risultato non cambia: non era la pellicola e non è il sensore che fanno la foto, ma chi sta dietro la macchina fotografica.
Al di là di tante banalità, la pellicola porta con sé tante storie raccontate e non raccontate, almeno una per ogni fotografo o fotoamatore che l’abbia usata.
Per il fotografo della domenica o per chiunque dovesse scattare foto per documentare qualcosa di usa e getta, era normale entrare da un fotografo o in un negozio di articoli per turisti dicendo “Vorrei un rullino”, specificando al massimo se da 12, 24 o 36 pose. Dire “a colori” dagli anni Settanta in poi era palesemente inutile, perché il nostro pseudo fotografo difficilmente avrebbe pensato al bianconero, o tantomeno alle diapositive.
Il fotoamatore invece avrebbe trasformato l’ingresso dal fotografo per acquistare uno o più rullini in un sacro cerimoniale, durante il quale avrebbe sciorinato di fronte all’annoiato malcapitato tutte le sue conoscenze (quasi sempre più teoriche che pratiche) sui materiali fotosensibili, sulla loro diversa resa su Nikon, Canon, Pentax, Olympus, Leica o Contax, su come sarebbe stato trattato il rullino una volta consegnato al laboratorio. Avrebbe affrontato il discorso degli ASA, della latitudine di posa e della resa cromatica di questo o quel tipo di pellicola, avrebbe vantato l’uso sporadico del Kodachrome 25, della Fuji Velvia o del T-Max 3200, e magari dopo tanto parlare se ne sarebbe andato con in tasca il solito Kodak Gold 100 da 36 scatti.
Il fotografo professionista invece non si sarebbe mai cacciato in una situazione del genere, per due semplici motivi:
- Si sarebbe rifornito direttamente dal magazzino di fiducia e non da un normale negoziante.
- Avrebbe col tempo standardizzato il proprio flusso di lavoro su pochissimi tipi di pellicola, in modo da conoscerli a fondo e usarli con facilità, rapidità e senza sorprese.
Dei tre personaggi a noi interessa il secondo, il fotoamatore, che talvolta diventa fotografo professionista. Non ci interessa colui che diventa fotografo perché il lavoro se lo è trovato in casa oppure perché ha avuto l’opportunità di lavorare in un negozio di fotografo. E per il fotoamatore il feticismo della pellicola conta e come.
Il mondo della pellicola era sconfinato, ed era fatto di classificazioni e sottoclassificazioni, e il fotoamatore le conosceva tutte.
La distinzione più ovvia era quella tra le pellicole a colori e le pellicole in bianconero. Ma c’era anche molto altro.
Si poteva parlare di pellicole per marca:
- Kodak
- Agfa
- Fujifilm
- Ilford
- 3M Scotch (per chi se la ricorda)
Potevamo classificare le pellicole per formato:
- 135 o 35mm: il classico rullino per le normali reflex 24×36 mm
- 120 o 220: il rullo per le macchine di medio formato come Hasselblad, Rolleiflex, Zenza Bronica, Mamiya, Pentax, Pentacon… che coprivano vari formati, quali 6×45, 6×6, 6×7, 6×8 e 6×9
- 10×12 (o 4×5), 13×18 (o 5×7) o 20×25 (o 8×10): la pellicola in lastre per le macchine di grande formato (o banco ottico)
Le pellicole si distinguevano tra loro per sensibilità, e principalmente:
- 25 ASA
- 50 ASA
- 64 ASA
- 100 ASA
- 160 ASA
- 200 ASA
- 400 ASA
- 800 ASA
- 1600 ASA
- 3200 ASA
A seconda se producevano stampe o diapositive si dividevano in:
- Pellicole negative (per stampe)
- Pellicole invertibili (per diapositive)
Esistevano poi le pellicole negative a colori tarate per la luce al tungsteno, tipica delle riprese in studio a luce continua, e le pellicole a infrarosso, usate principalmente in campo scientifico o militare, ma facile preda anche dei fotoamatori più smanettoni che volevano provare tutto.
Non dimentichiamo infine le pellicole a sviluppo istantaneo, le famose Polaroid, usate tanto dai fotografi della domenica quanto dai professionisti per le provinature, ovviamente con mezzi completamente diversi.
Tornando però alla mitologia della pellicola, spesso i fotoamatori evoluti avevano le proprie convinzioni sull’uso di questa o quella pellicola in questa o quella situazione, e laddove sembrava ovvio che una stampa fosse fatta con una data pellicola, talvolta il fotografo ti diceva con orgoglio che invece era fatta con un’altra, che avresti considerato molto meno adatta.
Tutto questo per dire una cosa semplicissima: quasi sempre la differenza la faceva la luce, e non il supporto chimico utilizzato per lo scatto.
Le varie pellicole fotografiche erano però un’importante palestra per il fotoamatore alle prime armi che aveva ambizioni di crescere, anche se spesso saltare da una pellicola all’altra costituiva soltanto un inutile spreco di soldi.
Oggi tutto questo con la fotografia digitale è andato perduto, irrimediabilmente e per sempre.
Anche io sono stato uno scocciatore per i fotografi, ricordo che quando mi vedevano entrare quasi si mettevano le mani nei capelli, però di soldi gliene lasciavo sempre tanti e quelli li prendevano senza sbuffare.
Evviva la sincerità Canonboy!
Kilometri di FP4 ho scattato, e parecchi kili di Kodak D76. Che tempi!
Chilometri, chili… ma quanti ettolitri d’acqua per il risciacquo allora, eh Robertino?
Grazie per il tuo commento.
Flavio